mercoledì 9 ottobre 2013

Il regno del caos:
"Il diavolo" di Andrzej Zulawski




"Dio esiste o no? Una volta per tutte!"
"Una volta per tutte, no!"
"E chi si prende gioco degli uomini, Ivàn?"
"Dev'essere il diavolo" ridacchiò Ivan.
"Ma il diavolo esiste?"
"No, neppure il diavolo".
"Peccato. Che il diavolo mi porti, so io che cosa farei a chi ha inventato per primo Dio! Impiccarlo a una tremula sarebbe poco!"
"Ma non vi sarebbe la civiltà se non avessero inventato Dio"
.
(Fedor Dostoevskij "I fratelli Karamazov")

Genesi ideale de "Il diavolo" di Zulawski.
Siamo oltre i grandi inquisitori, in quell'assoluta, abominevole, tremenda banalità del male e delle (re)azioni (in)umane. La Polonia tardosettecentesca, ferita, invasa, lacerata, è un autentico inferno sulla terra, un viaggio negli abissi più oscuri e reconditi dell'animo (?) umano. Non rimane altro se non l'orrore, l'orrore per tutto ciò che è e non può essere, ma soprattutto per il ricordo (offeso, umiliato, negato) di tutto ciò che era e non potrà più essere.



Dostoevskianamente un mondo senza Dio è un mondo in cui tutto è lecito: crolla la morale, crollano le leggi e le norme, crolla la dimensione dell'altro e quella della compassione, muore un intero sistema di valori e si finisce per dimenticare i divieti più antichi, quelli riguardanti il sesso e la morte.
Là dove cessa il regime della proibizione tramonta l'idea stessa della civiltà e, di conseguenza, il desiderio s'inibisce, la speranza muore, il buon auspicio diviene un miraggio: se si può tutto non si desidera più niente. Ci si lascia condurre in una spirale cieca e senza via d'uscita: il corpo non ha altro modo di esprimersi se non attraverso l'epilessia e la convulsione. Si cessa allora di vivere per lasciarsi vivere, come impossessati da un caos primordiale (ma d'altronde non è attraverso il corpo che si definisce la caduta, la follia e dunque la possessione?). Cade qualsiasi tipo di tensione verso l'alto in favore di una schiavitù nei confronti della carne tremula e di un pensiero completamente, definitivamente autodistruttivo.
Il mondo è finito.
Apocalittico, frenetico e maestoso, bellissimo come tutte le cose più orrende, questo è il mondo rovesciato di Zulawski, quello dell'assoluta indifferenza per le cose umane: tutto è permesso d'altronde, non rimane altro da fare che vedere (e far finta di vivere) come in uno specchio oscuro.
Solo allora s'instaura il regime del caos.



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