lunedì 21 novembre 2016

()

I cavalli ricominceranno a correre, i bambini torneranno amici dei lupi.

La La Land




Non l'avrei mai creduto, eppure "La La Land" di Damien Chazelle è davvero un film bellissimo. Perché è un film in cui si vorrebbe vivere in una bolla fuori dal tempo, in quel sogno lungo un giorno di coppoliana memoria, eppure la realtà irrompe sempre, magari con un cellulare che suona al momento sbagliato, magari con una sala vuota al debutto di un'attrice. Il musical si fa terra dei sogni e del cinema, isola che non c'è in cui restare o andarsene, almeno per un attimo, anche solo per uno sguardo. Dall'altra parte Stanley Dolen e Gene Kelly stanno a guardare, ma c'è sempre la consapevolezza amarissima che ieri non potrà essere mai più domani. E allora si balla tra le stelle, pronti a sognare un what if impossibile, un altro mondo in cui tutti vissero felici e contenti. Pronti a sognare il cinema, si potrebbe dire. Solo per un ultimo ballo. Uno solo, per tornare felici a cantare sotto la pioggia.

Les Beaux Jours d’Aranjuez di Wim Wenders.




Parigi è vuota, le strade sono deserte, il mondo si è fermato (il mondo è finito?). Uno scrittore modella nuove realtà, incasella ricordi ed emozioni, mette in scena un dialogo a due in un giardino desolato, nient'altro. Attraverso l'immaginazione ricrea mondi e ricordi, lasciandosi andare a un flusso di coscienza che è l'unico residuo, l'unica traccia, l'unico modo di tenersi in vita. Un perfect day che lascia spazio a una parola continuamente squarciata dal silenzio, e viceversa. E ciò che rimane del mondo, alla fine, non sono che le emozioni. Le lacrime rigano il viso di quest'ultimo (o primo) demiurgo. Silenzio, alla fine resta solo silenzio.

Prevenge: feto, questo ospite estraneo




"Prevenge" di Alice Lowe. Purissimo, divertentissimo weird-movie che porta avanti una riflessione non banale sulla gravidanza come invasione del corpo femminile, sottomissione a un feto pensato come ospite estraneo venuto da un altro mondo (omaggi a Rosemary's Baby, ossessioni ipodermiche del primo Cronenberg e intuizioni alla Porky College). Tra tinte horror, fughe demenziali e squisite incursioni splatter, il film di Alice Lowe ha il grandissimo merito di non prendersi mai sul serio, mentre ci avvolge in un incubo grottesco e indemoniato. Splendido.

p.s. la sequenza di Halloween, che vale da sola tutto il film, è una goduria infinita.

Animali notturni di Tom Ford




Se l'eleganza stilistica di A Single Man mi risultava indigesta, mai mi sarei aspettato un film come questo. Strutturalmente coercitivo, ricattatorio dall'inizio alla fine, la cosa che più mi disturba del film di Ford è il suo essere così profondamente crudele: odia i propri personaggi, li chiude in circoli senza via di fuga, li intrappola inquadratura dopo inquadratura, senza alcuna speranza, senza un residuo d'ossigeno. E' interessato solo alla geometrica implacabilità della sua struttura, applicando uno sfiancante codice di giustizia perfino ai rapporti umani, ai tagli di montaggio, agli sguardi degli attori. Tutto ritorna, tutto si fa circolare, tutto è scritto, pensato, teorizzato, prima ancora di essere sentito o vissuto. Un cinema così interessato alla perfezione da dimenticarsi che bisognerebbe saper amare e credere nei propri personaggi prima di distruggerli e mandarli alla deriva

Brimstone




Mi risulta un po' incomprensibile tutto l'astio che ha suscitato questo western classico più che mai. Non che il film non abbia evidenti problemi, a partire dalla sua struttura narrativa: perché non seguire l'ordine cronologico degli eventi e incastrare, ribaltare i tempi? perché questo continuo dover complicare a tutti i costi, come per paura che il flusso degli eventi, da solo, non basti? Oppure l'ostentazione - quella sì un po' compiaciuta - della violenza...eppure nei 150 minuti di Brimstone non ho mai guardato l'ora, il film scorre a un ritmo implacabile regalandoci anche alcune sequenze davvero belle. Dal cattivissimo Guy Pierce nel suo ruolo migliore da tanti a questa parte, che rimanda a La morte corre sul fiume piuttosto che, come molti hanno detto, all'ultimo Tarantino. Il suo pare un vero e proprio demone, l'incubo perverso che non muore mai. Certo manca l'ironia, tutto si prende maledettamente sul serio, ma da qui a definirlo osceno ce ne vuole...

Hacksaw Ridge di Mel Gibson




"Hacksaw Ridge" di Mel Gibson. Pazzesco film redentivo dove Mel Gibson mostra una consapevolezza dei suoi parossismi davvero esemplare. La fiera del grand guignol non è fine a se stessa come nei due film precedenti, ma è perfettamente circoscritta al contesto bellico in cui si trova. E avere un protagonista che non tocca un'arma per tutto il film è un conflitto in cui Gibson si pone in prima persona. Si tratta del suo film più personale, disseminato di suoi alter-ego che fanno da specchi, riflessi di un'intera esistenza. Pare quasi una terapia, un gioco di rimandi, un film in lotta con il suo stesso autore. A vincere è il cinema americano dal nitore più classico che si fa esemplare parodia di se stesso nei venti minuti finali più cinetici, più esaltanti della sua filmografia.

Tremori: The Assassin di Hou Hsiao-hsien




e così ti scopri a tremare per ogni immagine, ogni velo, ogni quinta, ogni ombra già impressa su pellicola. The Assassin di Hou Hsiao-hsien è cinema di folgorante bellezza, quello che ripensa ogni immagine a partire dalla sua persistenza, dalla sua durata, dalla sua traccia che è un residuo, un'ancora, un ultimo tremore del cuore e della mente. E alla fine è il tempo stesso ad astrarsi, fino a concentrarsi in un volto, in un campo, in un piano lungo dove, in lontananza, echeggiano i duelli marziali del wuxia che fu. Hou Hsiao-hsien firma uno dei suoi film più erotici, perché rimanda sempre al momento successivo, quello in cui tutto esploderà. Eppure non c'è esplosione, non c'è detonazione, non c'è "storia" se non la carica sensualissima, ardente e incendiaria, di un'attrazione che non ha mai fine.

Scrivimi fermo posta




rimane sempre il film da vedere a casa mentre fuori piove, magari rannicchiati sotto una coperta, magari d'inverno, magari con la persona che si ama. Istante dopo istante, battuta dopo battuta, rivivono le immagini-fantasma di corpi attoriali perfetti sempre pronti a prendere nuova vita. "Scrivimi fermo posta", come tutto il cinema di Lubitsch, rinasce a ogni nuova visione e ha il potere incredibile di essere, di volta in volta, un film nuovo e mai visto. E, come non tutti i fantasmi, appare sempre in forma smagliante. Per dirla alla Billy Wilder: il Paradiso? Un film di Lubitsch.

Susanna di Howard Hawks




"Susanna" di Howard Hawks. La regina delle commedie degli equivoci, quella che porta ogni situazione a un tale livello di parossismo da anticipare in cento minuti tanto, tantissimo cinema che verrà (Katharine Hepburn mai stata così in anticipo sul tempo in questa commedia così situazionista, così assurda, così superbamente esagerata). A rivederlo oggi rimane un film sfrenato, impudico e crudelissimo, con un ritmo indiavolato che solo uno come Howard Hawks poteva sostenere. Il film si accende, fugge senza spegnersi mai, cambia traiettorie, reitera ossessivamente una serie di sfortune incessanti, come un "Fuori orario" prima del tempo (il meccanismo, in fondo, è proprio quello: rimango convinto che Martin Scorsese abbia avuto, tra i suoi riferimenti primi, proprio "Susanna!" per la sua memorabile avventura notturna).

La Hepburn posseduta di Incantesimo




Ancora una volta il cinema che più mi manca è quello americano degli anni '30, le grandi commedie di Hawks (di cui "Susanna!" è forse la stralunatissima vetta), il garbo di Lubitsch (e la Garbo di Lubitsch!), le vite meravigliose di Capra...penso questo mentre vedo "Incantesimo" di George Cukor, film troppo spesso dimenticato, ma oscuro, misterioso, conturbante nella sua identità scissa, in bilico tra dramma estatico e commedia sentimentale. Il titolo originale era "Holiday", geniale perché la vacanza, il sogno del protagonista/idealista Cary Grant è sempre fuori-campo (del resto è un film che vorresti continuasse per ore, perché il finale è così perfetto, così conclusivo, che lascia la voglia di sapere come, dove e quando, i nostri beniamini continueranno a viaggiare). Eppure "Incantesimo", il titolo italiano, rende perfettamente le atmosfere oniriche, il fascino spettrale della villa in cui è ambientato quasi tutto il film. Che è un film di fantasmi, di sogni nel cassetto, di bassezze morali e arrivismi sfrenati. C'è un'amarezza, una malinconia di fondo continuamente celata dal ritmo comico indiavolato del duo Grant/Hepburn. E Katherine sembra come posseduta, la sua recitazione è completamente fuori dalla norma, come in preda a uno stato d'estasi o di ipnosi. "Incantesimo" diviene quasi la storia di una santa, di una figlia che sfugge alle ricchezze materiali della casa paterna, per gettarsi tra le braccia del povero sognatore di turno. Un capolavoro sulla seduzione dove ogni primo piano di Katherine Hepburn è un tentativo d'ipnosi sullo spettatore, un assalto allo sguardo che rompe qualsiasi barriera protettiva. Un volto, il suo, che pare l'emanazione di una luce violenta e bellissima, di un dolore antico che rivive, ogni volta, sullo schermo.

p.s. la stanza dell'infanzia, il fratello deluso che soffoca i propri dolori nell'alcool ma non ha il coraggio di rinunciare a quella vita, il pater familias che non può urlare in chiesa...sono troppe le cose memorabili del film per elencarle tutte. Rimangono i ricordi.